Antonella De Benedittis con Demos: «Svelare l’inedito della città»


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18 Settembre 2020


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Redazione CoratoLive

Mi candido non in solitaria, ma in una lista, quella di Demos democrazia solidale, e in una convergenza di liste a sostegno di Corrado De Benedittis, di persone libere e competenti: mi candido perché credo che la giustizia sociale debba essere centrale nell’azione amministrativa e perché credo di poter portare un bagaglio di esperienze significative.

Una amministrazione comunale, infatti, insieme alla comunità, deve essere impegnata soprattutto in una azione trasformatrice della realtà, a partire da una visione: dobbiamo imparare a conoscere la nostra città non solo per ciò che è, ma anche per ciò che non è. Un’amministrazione comunale ha, inoltre, il compito di svelare l’inedito di una città, dei suoi quartieri periferici, dei cittadini che fanno fatica, di chi è in una condizione di grave disuguaglianza, svelare e trasformare.

Non ho una “carriera politica” alle spalle ma ho sempre, sin dai tempi della mia adolescenza, vissuto fino in fondo la passione politica e civile, nell’impegno sociale: ho lavorato per oltre 25 anni con bambini e bambine in difficoltà, con giovani marginali, con famiglie multiproblematiche, con persone con problemi di dipendenza patologica, con migranti, con donne vittime di violenza, sempre coniugando, però, azione e ricerca, cura e cultura. Collaborando con diversi enti locali, ho lavorato anche nella progettazione europea, riuscendo a realizzare importanti interventi di infrastrutturazione sociale nei territori.

Ho cosi imparato (e questo credo possa essere importante nel governo della città) che: lo sviluppo di una città è un processo sociale che deve includere un’analisi delle relazioni di potere, del modo in cui il potere si organizza, si distribuisce, si restringe: quando il potere, come è successo a Corato, si fa dominio nelle mani di pochi è a rischio lo sviluppo democratico e il “potere” da verbo si trasforma in sostantivo, quindi in “dominio” che schiaccia e che ricatta; ho imparato che coloro che sono esclusi, marginali, poveri, fragili hanno bisogno di strumenti per uscire dai ruoli subalterni e che è necessario imparare a farsi carico non di pezzi di esistenza delle persone fragili o povere, ma dell’intera esistenza nella sua complessità, senza astrarla dall’intreccio di impedimenti e risorse dentro cui si muove e da cui è condizionata.

Facciamo qualche esempio: se sovrapponessimo la mappa del disagio insediativo urbano con quella della disoccupazione, della dispersione e dell’abbandono scolastico e della povertà educativa vedremmo il filo rosso che lega la qualità ambientale e la marginalità sociale. Il sentimento che accomuna queste realtà è quello di essere abbandonate a se stesse, con una conseguente reazione di incattivimento e di mancanza di proiezione verso il futuro. Questi luoghi dove si intrecciano ingiustizia sociale e ambientale devono essere le nuove frontiere di impegno.

Sono i luoghi in cui generare cura e riscatto, ricostruendo le reti e la coesione sociale. La crisi Covid 19 ha evidenziato che ci sono bisogni urgenti: famiglie con disabili, con anziani fragili, bambini con genitori in difficoltà, giovani che non trovano uno spazio per abitare in autonomia, ragazzi soli in situazione di povertà educativa; spesso le fragilità dei genitori diventano determinanti nella povertà educativa: è necessario impegnarsi fortemente, dunque, perché per esempio, la povertà dei genitori non sia un destino per i figli: urge un cambiamento del paradigma culturale: da risposte spacchettate tra vari servizi bisogna passare ad una analisi che attraverso una lettura multidimensionale delle fragilità metta al centro le persone, intervenendo prima che si passi da una situazione di fragilità ad una di povertà conclamata.

Come? Pensando in modo integrato i problemi sin dall’inizio; passando da un welfare basato sull’esternalizzazione dei servizi con bandi e gare volte al contenimento della spesa, mettendo in competizione i diversi soggetti del terzo settore, ad un welfare che crei alleanze, che generi luoghi di pensiero e progettazione comune.

Il problema della ingiustizia sociale lo si affronta con un terzo settore non stampella o solo sussidiario ad una amministrazione assente, ma riconosciuto come soggetto promotore di conoscenza e di visioni da discutere ai tavoli locali. Sono una docente di italiano e storia e, come sanno bene i miei studenti, impariamo insieme a trasformare la sfiducia, l’impotenza, la rassegnazione appresa in speranza appresa che genera il desiderio, la percezione e le competenze per poter-voler incidere sulla esperienza individuale e collettiva. Per questo invito tutti, con convinzione e conoscendolo da sempre a votare bene per Corrado sindaco.