Autonomia differenziata
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29 Marzo 2023
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Il Consiglio dei Ministri ha salutato con un fragoroso applauso il 2 febbraio scorso l’approvazione di un Disegno di legge quadro sull’autonomia differenziata, ispirato da una interpretazione unilaterale e parziale dell’art. 116, terzo comma della Costituzione.
Le conseguenze della trasformazione in legge del Ddl del Ministro Roberto Calderoli, saranno molteplici, ma soprattutto nefaste: la fine sostanziale dell’unità nazionale, l’aggravamento delle diseguaglianze sociali e territoriali, la crisi del sistema sanitario nazionale, la legittimazione normativa del divario tra Nord e Sud, la violazione del principio costituzionale che riconosce l’eguaglianza tra i cittadini. Una riforma, in sintesi, che rischia di introdurre un regionalismo competitivo, corporativo, antisolidaristico, espressione di una «devolutionda ricchi », spacciata come tutela del diritto all’autodeterminazione.
La prima criticità riguarda l’elenco delle 23 materie che secondo il dettato costituzionale potrebbero essere devolute a livello regionale. Il rischio è che si crei, come è stato notato, una sorta di «patchwork istituzionale », poiché ogni regione potrà richiedere una parte di esse o tutte, come nel caso già annunciato dalla regione Veneto. Più che un rischio è una realtà che l’attuazione di questa riforma produrrà una cristallizzazione dei divari esistenti e un aumento delle diseguaglianze sociali. Inoltre, assegnare alla competenza esclusiva regionale materie di rilevanza strategica e non suscettibili di frazionamento territoriale, minerebbe le possibilità al governo nazionale di elaborare politiche unitarie. Ciò non significa solidarizzare con nostalgici ritorni allo Stato centralista.
L’altro rilevante punto critico è quello che riguarda i cosiddetti livelli essenziali delle prestazioni (Lep), i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio della Repubblica che, come recita la nostra Costituzione, devono essere definiti dal Parlamento e non dal Governo, come invece prevederebbe l’attuale disegno di legge.
Questi, oltre ad essere definiti, devono essere attuati al fine di raggiungere una vera perequazione tra le diverse regioni. Se analizziamo la situazione della sanità, ad esempio, ci accorgiamo che, anche laddove questi sono stati definiti e anche monitorati, le differenze regionali permangono enormi. Ciò rischia di allargare ulteriormente il fossato tra il Nord e il Sud, dividendo l’Italia in regioni di serie A e di serie B, operando un divorzio tra coesione e sviluppo, a nostro avviso, un binomio inscindibile.
Questa bozza come è stata presentata mina le basi dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica e non può pertanto che essere ritirata, poiché rappresenta una riforma costituzionale mascherata. Come Democrazia Solidale non vogliamo essere complici dell’eutanasia di una parte rilevante del nostro paese, il Mezzogiorno e le Isole, né avallare una divisione tra ricchi e poveri, in nome di una nuova illusione: il sovranismo regionale.
-Gianni La Bella-