Avvenire | Le storie. Cattolici e politica, la fatica della solitudine


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25 Luglio 2024


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Breve intervista della consigliera comunale Demos a Budrio, Alice Sartori

Gli amministratori locali formatisi in associazioni e movimenti ecclesiali sono migliaia. C’è chi milita nelle sezioni dei partiti, chi ha dato vita a liste civiche, chi ha messo in piedi movimenti politici autonomi. A Trieste, nei giorni della Settimana sociale di inizio luglio, ce n’erano un’ottantina. E quando si sono incontrati, la sorpresa è stata nell’istanza che hanno posto: non tanto una “ricetta” per “pesare di più”, quanto una “domanda di compagnia” per non disperdere lo specifico dell’impegno da cristiani. Ogni volta che si parla di “cattolici e politica” scatta automatica una discussione retorica: serve un nuovo partito? O presidiare i campi esistenti? Gli amministratori già impegnati capovolgono le priorità: ciò che serve sono luoghi di confronto veri. Perciò Avvenire sta dando loro voce: per mostrare scelte d’impegno concrete, e che dovrebbero risultare più visibili in autunno, quando gli stessi “amministratori di Trieste” si convocheranno per un vero e proprio incontro nazionale.

Parla Alice Sartori, consigliera comunale di Demos a Budrio (Bologna)

Sono consigliera comunale di maggioranza con delega alle Politiche giovanili a Budrio, nella pianura bolognese, eletta nel 2022 con lo schieramento di centrosinistra nella lista Demos–Democrazia solidale. La decisione di prendere parte è maturata grazie a un gruppo di amici parrocchiali. Abbiamo voluto una lista partitica e capace di collaborare con altre forze progressiste per tentare una politica meno rancorosa, più attenta alle singole persone e alla comunità. Arrivata a metà mandato, sperimento cosa significhi non fare politica di professione: è difficile conciliarla col lavoro privato e rendere conto ai cittadini del proprio operato. Come dice il Papa «la partecipazione non si improvvisa» ed io ho fatto palestra in Azione cattolica, ma la partecipazione ecclesiale non esenta dalle «tentazioni ideologiche e populiste» della politica.

Ho tenuto molto a partecipare alla Settimana triestina proprio per la mia doppia veste di amministratrice locale e di delegata diocesana. Per questo sono stata felicemente sorpresa dall’incontro tra amministratori locali. Mi ritrovo in chi ha definito la “rete di Trieste” uno strumento per costruire lo “spartito comune” che ciascuna forza potrà suonare in modo diverso. Per non soffrire di solitudine e rischiare di sentirci poco significativi su alcune battaglie. Per testimoniare che la politica si può ancora fare per passione, mettendo il focus sul servizio alle persone emarginate. Per avere un luogo di discernimento più grande, che ci aiuti a stare svegli a difesa della democrazia.

Essere stata a Trieste mi ha consentito anche di fare lavori di gruppo significativi, perché ci hanno costretto a sperimentare che «non c'è partecipazione se non si dà voce a tutte le persone, al di là dei loro ruoli», come ci ha detto Isabella Guanzini a Trieste.
È stato importante ascoltare che il cuore della politica non è fare beneficenza ma fare tutti partecipi, prendersi cura dei diritti sociali di tutti. Mi ha colpito molto anche il richiamo di Mattarella a farci «alfabeti» di democrazia, come se dovessimo inverare nei nostri corpi la democrazia, passando per il parlare franco e anche per momenti di lotta. Davvero i cattolici in Italia vogliono impegnarsi in prima linea, sentendo un forte dovere a partecipare. Il frutto di Trieste è quindi un rinnovato slancio ad essere portatori di voglia di comunità e gioiosi diffusori di partecipazione.

Se penso a cattolici e politica però oggi fatichiamo a portare nell’agone alcune cose: ci sono in giro tante “oasi del noi” cattoliche, ma non siamo aperti a giocarci in reti più ampie perché spaventati dal conflitto. E poi siamo anche noi schiavi di un certo narcisismo: la tentazione di occupare spazi è forte. Eppure, resto convinta che i cattolici abbiano un patrimonio alto da impegnare in politica: di affidabilità, come coerenza di chi crede in ciò che dice; di rappresentanza in grado di promuovere la partecipazione; di voglia di costruire a partire dalle vulnerabilità; di senso della giustizia, per democratizzare sempre più tutti i rapporti sociali.