Campania | “Inclusione e integrazione dei bambini Rom, Sinti e Caminanti: un treno preso in extremis” della Consigliera Gaeta


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21 Gennaio 2025


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Nell’ambito del Progetto Nazionale per l’inclusione e l’integrazione dei bambini rom, sinti e caminanti, sono stata individuata dall'assessorato competente della Regione Campania come referente per il coordinamento con gli ambiti territoriali in cui insistono le comunità destinatarie degli interventi. Con il mio ufficio ho voluto dare massima diffusione al progetto nei Comuni della Campania, organizzando incontri online con gli ambiti territoriali e il Ministero per garantire una condivisione ampia del bando 2024. Questo impegno ha portato tre Comuni – Napoli, Giugliano ed Afragola – a ottenere contributi significativi, ben oltre il milione di euro, per superare l’arcaico concetto dei campi rom.

In questi Comuni si trovano grandi centri che accolgono rom, sinti e caminanti. Voglio sottolineare una precisazione importante: per anni queste comunità non sono state adeguatamente curate, spesso lasciate ai margini senza interventi stabili e inclusivi.

Una Storia di Emarginazione

    I rom, sinti e caminanti, un tempo definiti “nomadi”, hanno girovagato per il mondo stazionandosi in piccoli gruppi fin dai primi del 1700, in particolare in Europa e nei territori dell’ex Unione Sovietica e dell’ex Jugoslavia. Tuttavia, fino agli anni ‘80, queste comunità sono state considerate una presenza da trascurare, senza reali progetti di inclusione. Nei primi anni ‘90, il loro numero è aumentato notevolmente, soprattutto con il grande esodo dai territori dell’ex Jugoslavia. Questo ha comportato un aumento dei campi e delle popolazioni già presenti in Europa e in Italia.

    Nel corso degli ultimi quarant’anni, i comuni hanno avviato piccoli progetti finalizzati al “contenimento”, senza mai risolvere il problema. Per decenni si sono susseguiti solo interventi emergenziali: installazione di bagni, gestione degli incendi e punti di acqua potabile, oltre a progetti sperimentali per iscrivere i ragazzi nelle scuole. Si trattava per lo più di tentativi limitati a tamponare i problemi. Progetti più strutturati sono stati avviati solo in risposta a tragici eventi di cronaca, come la morte di minori per il freddo o incendi nei campi.

    Nel corso degli anni ci si è finalmente resi conto che gestire le emergenze comporta costi enormemente superiori, senza produrre risultati utili, rispetto a progetti di inclusione strutturati come quelli che saranno avviati.

    Un cambiamento epocale

      Grazie a un lavoro di squadra, i fondi resi disponibili per progetti di inclusione erano rimasti inutilizzati per settimane. Fondi che i Comuni, purtroppo, non avevano richiesto. Chi mi conosce sa che considero l’inclusione una parola ricca di significati, ma spesso si è scelto l’assistenzialismo invece di risolvere i problemi in modo stabile. Questo spiega, in parte, la scarsa attenzione dei Comuni verso questi bandi, che invece sono finalizzati a superare il concetto dei campi rom e a promuovere una vera inclusione sociale.

      In altre regioni d’Italia, progetti simili hanno consentito alle famiglie rom, sinti e caminanti di ottenere la piena autonomia:

      • Affittare appartamenti.
      • Accedere alla cittadinanza italiana.
      • Usufruire di servizi sanitari riconosciuti.
      • Frequentare scuole e formarsi professionalmente.

      Giugliano, ad esempio, che ospita uno dei più grandi campi rom d’Italia, riceverà oltre 1,8 milioni di euro per superare il concetto stesso di campo rom. Se si pensa ad un fondo complessivo di 40 milioni di euro, si comprende bene che una buona fetta finisce qui in Campania.

      Questo rappresenta un risultato significativo non solo per restituire dignità a chi vive ai margini della società, ma anche per risolvere le continue controversie con i residenti vicini ai campi, spesso segnati da cumuli di rifiuti e incendi tossici.

      Un treno preso in extremis

        Ciò che mi preme sottolineare è che, in Campania, il rischio era quello di perdere questa importante opportunità. Solo grazie alla mia sensibilità e attenzione sul tema siamo riusciti a muoverci, mentre i Comuni non avevano considerato l’ipotesi di richiedere questi fondi. Ritengo che sia nostro dovere curare questi aspetti, ma dovrebbe essere naturale per i Comuni promuovere e attivare tali progettualità senza bisogno di ulteriori sollecitazioni.

        Noi consiglieri regionali dovremmo essere impegnati su fronti più strategici, lavorando sulla programmazione presente e futura, invece di doverci occupare dell’ordinario. Questo risultato, tuttavia, rappresenta un passo avanti anche e sopratutto per un metodo di lavoro che spero di aver instaurato tra le varie istituzioni, in questo caso, Ministero, Regione, Comuni.

        Spero che questi progetti, che seguirò con attenzione, ci rendano una delle regioni più inclusive d’Italia, un esempio da portare in tutto il mondo, dove l’inclusione è spesso l’arma migliore per affrontare queste problematiche.