Diritti dell’infanzia, è ora di combattere disuguaglianze vicine e lontane
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20 Novembre 2019
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di Paolo Ciani
Spesso si dice che i bambini sono i cittadini del futuro, ma in giornate come queste, bisognerebbe riflettere su quanto sia necessario riconoscergli pieno titolo di cittadini sin dall’infanzia. Solo guardando ai loro bisogni e alle loro istanze, direi guardando il mondo con i loro occhi e partendo dalla loro fragilità, le istituzioni saranno in grado di programmare e sviluppare politiche e azioni sempre più efficaci.
La Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ricordando la data in cui venne approvata all’Onu la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, ha la funzione di mettere al centro della riflessione pubblica proprio i diritti dei più piccoli. E questo è importante, pensando a un mondo in cui in un anno muoiono circa circa 6 milioni di bambini sotto i 15 anni: 1 ogni 5 secondi, per lo più per cause che avrebbero potuto essere prevenute (come dimostrato dai rapporti annuali dell’OMS).
Oltre l’80% dei decessi prima dei 5 anni si concentrano in due regioni del mondo, il 50% nell’Africa Subsahariana e il 30% in Asia Meridionale. In Africa, 1 bambino su 13 muore prima del suo quinto compleanno. Sono numeri tremendi che mostrano chiaramente la diseguaglianza e l’ingiustizia: nascere in una parte o l’altra del mondo (pur non essendo una scelta), rappresenta ancora una condanna. Ma colpisce molto che il tema della disuguaglianza, anche rispetto all’affermazione dei diritti dei minori, abbia una sua rappresentazione crescente anche nel nord del mondo e nel nostro Paese.
Bisogna superare le disparità territoriali e raccogliere dati su violenza, disabilità, salute mentale, dispersione scolastica e come proposto anche dal Comitato Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nelle proprie raccomandazioni all’Italia occorre “portare avanti misure urgenti per rispondere alle disuguaglianze regionali rispetto all’accesso al sistema sanitario, alla lotta alla povertà, alla garanzia di alloggi dignitosi, inclusa la prevenzione di sgomberi, allo sviluppo sostenibile e all’educazione in tutto il Paese”.
Ricordiamoci che l’Italia è il secondo Paese più vecchio del mondo, caratterizzato da bassa natalità in quasi tutte le regioni, con livelli preoccupanti in Liguria e Sardegna, dove nascono 6 bambini ogni mille abitanti. A Roma preoccupa il dato sull’istruzione: si stima che quasi il 30% della popolazione romana non abbia nessun titolo di studio o si sia fermato alla licenza elementare.
Recenti studi hanno analizzato che due terzi dei bambini con i genitori senza diploma restano con lo stesso livello d’istruzione della famiglia di origine, dati che appaiono particolarmente gravi nelle periferie. Nella periferia est di Roma (Municipio VI), ad esempio, si registrano tassi molto significativi di disoccupazione giovanile e di lavoro in nero, alto livello di disagio sociale e bassi redditi pro capite. Solo 1 giovane su 2 finisce gli studi e ha un livello d’istruzione considerato basilare.
Le cause provengono sia da condizioni di disagio socio-familiare che dall’insufficienza dell’offerta scolastica sul territorio: nel 2017 sono pervenute al Servizio Sociale circa 102 segnalazioni di evasione dell’obbligo scolastico e formativo; solo il 2,5% dell’offerta scolastica romana ha sede nel municipio nonostante vi risiedano oltre 20.812 bambini d’età tra 0-6 anni.
La situazione si ripete in altre regioni d’Italia, come Milano o Torino dove oltre il 40% dei residenti che completa gli studi abita nelle zone centrali. A Napoli vediamo un ribaltamento geografico, dove si studia nelle zone benestanti collinari, ma il dato della disuguaglianza permane.
È indispensabile avviare una riflessione strategica rispetto alle politiche per l’infanzia e adolescenza, da cui derivi l’assunzione di un impegno reale da parte delle istituzioni competenti per risolvere le criticità ancora insolute.
Preoccupa questa diseguaglianza, tra un quartiere e l’altro della città, tra nord e sud del Paese, tra cittadino italiano e straniere: basti pensare ai vergognosi e non isolati casi in cui in nome dell’autonomia scolastica si rifiuta l’iscrizione dei bambini Rom nella scuola dell’obbligo.
Forse solo forti investimenti nelle politiche educative, formative sociali e occupazionali da parte delle istituzioni possono sanare un gap che non è più concepibile né accettabile nelle moderne società. Come disse don Milani “se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.
Vi è un forte legame tra povertà, istruzione e disagio socioculturale. La scuola emancipa dalla povertà, ma le condizioni di partenza contribuiscono fortemente a determinare a loro volta il fallimento formativo. La scuola deve rappresentare un vettore di emancipazione per chi parte più indietro, il fondamento della costruzione di una società che garantisca diritti e pari opportunità per tutti. La giornata odierna ci aiuti a lavorare per abbattere i muri di disuguaglianza anche all’interno di medesime città e Paesi.