In una società rassegnata, la lezione e l’esempio di Basaglia
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20 Agosto 2018
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di Paolo Ciani
A distanza di 40 anni, nella nostra società in cui anche ciò che è semplice, normale, "dovuto", sembra talvolta impossibile, l'esempio della legge 180, con il suo portato culturale e la sua audacia, è un monito e una speranza per rilanciare cultura e diritti degli ultimi.
Il 13 maggio 1978 veniva approvata in Parlamento la legge n.180 detta anche "legge Basaglia" dal nome dello psichiatra veneziano Franco Basaglia che la ispirò con il suo lavoro pioneristico all'Ospedale Psichiatrico di Trieste. La legge, intitolata "Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori", era una legge quadro di soli 11 articoli, che all'articolo 1 recitava: "Gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari", ribadendo quindi che anche per le persone malate di mente vale l'articolo 32 della Costituzione. Negli articoli successivi si disciplina il ricorso agli accertamenti e ricoveri obbligatori per malattia mentale, di durata limitata nel tempo, che vengono limitati a quei casi in cui "... esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall'infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra ospedaliere", e devono comunque sempre avvenire "nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione".
Discussa nella commissione Sanità, venne approvata a larga maggioranza, e fu poi dopo qualche mese incorporata nella legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (1978/833) a firma del ministro della Sanità Tina Anselmi.
Era un momento drammatico per il paese, pochi giorni prima era stato ritrovato a via Caetani il corpo senza vita di Aldo Moro. La classe politica vide in questa legge secondo le parole dell'on. Giovanni Berlinguer "un grande banco di prova per la società italiana". "Vediamo con questa approvazione di concorrere a ridare in un momento difficile e tormentato una nuova speranza di ulteriore positivo avvenire per il nostro Paese", disse nella relazione al momento del voto l'on Morini (DC).
Fino al 1978 era in vigore in Italia la legge 36 del 1904 che considerava il paziente psichiatrico non in una prospettiva medico-sanitaria, ma di ordine pubblico, definiva i malati mentali "pericolosi a se stessi e agli altri" e perciò portatori di "pubblico scandalo". Il paradigma era la segregazione, l'isolamento, i folli venivano rinchiusi dietro alte mura, separati dalla società e dalla famiglia, e spesso vivevano in condizioni indegne, venivano legati e subivano trattamenti coercitivi.
La legge 180 fu un passaggio chiave per la psichiatria italiana, una vera e propria rivoluzione che avrebbe portato alla fine dei manicomi e all'avvio di nuovi percorsi terapeutici, trasformando gli "internati" in cittadini. Secondo le parole di Giuseppe Dell'Acqua (in un'intervista a Famiglia cristiana), "La 180 non è solo la chiusura dei manicomi, è molto di più: è la restituzione dei diritti dei cittadini ai malati mentali. È un'inversione culturale: non si parte più dalla malattia, ma dal malato. E questa conquista ha contagiato tutto il mondo della psichiatria, a livello mondiale. Se oggi si denunciano le situazioni d'abbandono in cui versano i pazienti o le loro famiglie, lo si può fare proprio perché la 180 ha affermato il diritto a non avere più vergogna della malattia mentale e a chiedere aiuto e cura".
In effetti la "legge Basaglia", non si è limitata solo a sopprimere l'ospedale psichiatrico sancendone l'inadeguatezza quale istituto di cura per chi soffre di disturbi mentali, ma ha delineato pionieristicamente il sistema dei servizi di assistenza psichiatrica senza e oltre il manicomio radicando nell'ordinamento italiano un sistema di assistenza reticolare su base territoriale. Vi si rinviene, infatti, il fondamento per la struttura amministrativa dei dipartimenti di salute mentale quali pilastri organizzativi dell'assistenza psichiatrica e quindi di un ambito assai rilevante del sistema di welfare italiano. Dunque, l'abolizione per via legislativa della falsa equazione disturbo mentale/pericolosità spostava il tema dell'assistenza psichiatrica sul fronte dei diritti sociali, della fruizione delle prestazioni assistenziali volte a garantire il diritto fondamentale alla salute mentale.
La persona affetta da malattia mentale tornava nella società, in famiglia, ma non veniva lasciata sola. Anzi, proprio perché tornava ad avere diritto di cittadinanza, si prendeva coscienza che la sua malattia doveva essere curata come le malattie degli altri cittadini. Nel caso specifico, il Centro di salute mentale (CSM), cardine del DSM, diventava il luogo di cura privilegiato. I CSM dovevano essere realizzati nei quartieri, dove le persone vivevano. Nel CSM opera una equipe multidimensionale formata dal medico psichiatra, dallo psicologo, dall'assistente sociale, dal tecnico della riabilitazione, dall'infermiere. Lo psichiatra imposta il piano terapeutico in base alla diagnosi. L'equipe lavora per aiutare il malato a essere inserito nel contesto lavorativo, anche in fascia protetta, a trovare una sistemazione alloggiativa nel caso il legame con la famiglia di origine si interrompa. Viene riproposto con forza un modello di cura non solo medico-centrico ma che prende in considerazione le varie dimensioni della salute: quella fisica, quella psichica e quella sociale.
Il malato non doveva più, in nessun caso, essere contenuto, ma in caso di malattia acuta può beneficiare del ricovero, alcuni giorni, nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC). Il DSM è poi articolato anche nei Centri diurni per le attività di gruppo, nelle Comunità terapeutiche per la riabilitazione.
L'applicazione della legge non fu facile e lineare. Le Regioni, a cui era demandata l'applicazione si organizzarono con notevoli ritardi e disomogeneità. La legge ha suscitato molti dibattiti e ripetuti conflitti, anche di notevole asprezza, tra sostenitori e oppositori. La chiusura dei manicomi non si realizzò in un giorno, fu la legge finanziaria del 1994 a imporre la chiusura degli Ospedali psichiatrici, e bisognò attendere fino al 2000 perché l'ultimo malato varcasse in uscita la soglia dei manicomi. Rimanevano ancora aperti i 6 Ospedali psichiatrici giudiziari, di cui la 180 e la 833 non si occupavano, e che sono stati chiusi solo con una legge del 2014. Soprattutto, i servizi territoriali in molte aree non sono stati adeguatamente potenziati, le famiglie dei malati lamentano di essere lasciate sole, e una certa passività dei servizi di salute mentale, che in molte regioni si chiudono di fatto in ambulatori aperti qualche ora al giorno e non effettuano visite a domicilio. Certo, lo stigma e la paura della malattia mentale non si possono abolire per legge e nella nostra società è ancora forte il pregiudizio verso chi si comporta "diversamente" e spesso la malattia mentale è vissuta con forte vergogna dal paziente e dalla famiglia. I malati sono ritornati sul territorio, ma il territorio si è disgregato, le reti sono venute meno, la società fatica a essere inclusiva, il mercato del lavoro è sempre più competitivo e povero di diritti.
Tuttavia non si può non vedere il cammino fatto in questi anni: una rete di servizi di salute mentale è stata istituita (oggi abbiamo 183 Dipartimenti di salute mentale sul territorio nazionale), sono stati approvati Progetti obiettivi e linee di indirizzo, i principi ispiratori della legge Basaglia si ritrovano nel "green paper" sulla salute mentale approvato dall'Unione Europea nel 2005, i ricoveri attraverso TSO sono contenuti (circa l'8,8% dei ricoveri psichiatrici acuti), è iniziata tra gli operatori del settore e tra i pazienti una riflessione sulla guarigione, intesa come "recovery", ripresa, cioè il processo attivo attraverso cui la persona sviluppa strategie per fronteggiare, ricomprendere e dominare i sintomi e le difficoltà causate dalla malattia, quindi una prospettiva totalmente diversa dal solo contenimento di una situazione inevitabilmente cronica intesa come non guaribile.
Soprattutto, non si è tornati indietro. Negli anni sono stati depositati numerosi disegni di legge volti a modificare la legge Basaglia, ma finora ha sempre prevalso l'impostazione culturale della legge, che rappresenta una delle grandi vere riforme del nostro Paese.
Concludo con le parole di Basaglia:
"La cosa importante è che abbiamo dimostrato che l'impossibile diventa possibile. Dieci, quindici, venti anni fa era impensabile che un manicomio potesse essere distrutto. Magari i manicomi torneranno a essere chiusi, e più chiusi di prima, io non lo so, ma a ogni modo abbiamo dimostrato che si può assistere la persona folle in altra maniera, e questa testimonianza è fondamentale". (Basaglia, Conferenze brasiliane, 1979).