Le città e l’illusione di cancellare i poveri


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1 Ottobre 2019


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di Paolo Ciani

Allontanarli dalla vista senza risolverne i problemi, peggiora la loro vita e non migliora quella degli altri

Negli ultimi tempi diverse città italiane sono salite agli onori della cronaca per vicende legate alle persone senza fissa dimora che le abitano. Dalle ordinanze di Como che vietano di dare la colazione in strada ai poveri; al vicesindaco di Trieste che si è vantato sui social di aver tolto e buttato nella spazzatura gli abiti e le coperte di un suo concittadino che viveva in strada; dalla banda di ragazzi che picchiano per gioco un senza dimora a Napoli; fino agli zelanti vigili urbani di Foggia che hanno multato i volontari che portavano aiuto ai poveri della loro città. Un filo comune sembra percorrere la penisola.

Ultimi, ma molto significativi avendo riguardato la Capitale, sono arrivati una serie di provvedimenti alla Stazione Termini di Roma: tra le altre, alcune opere che hanno fisicamente allontanato i senza fissa dimora dalla vetrata della stazione attraverso “impalcature” metalliche poste dinanzi ai giacigli di fortuna.
“Non si può accogliere i turisti a Roma con quello spettacolo”, sostengono in molti. Giusto, si potrebbe dire (anche se preferirei dire: non è giusto, né dignitoso vivere così...). Ma il problema è un altro: dove sono quelle persone che fino alla scorsa settimana dormivano lì?

Sembra che dinanzi ai tanti poveri che vivono nelle strade delle nostre città, non si abbia più l’ambizione o l’idea di trovare soluzioni che non siano quelle di farli andare altrove (con le buone, con le cattive, penalizzando chi li aiuta o rendendogli la vita impossibile). Con il banalissimo problema che se non risolvi (e non provi nemmeno ad affrontare) il problema di quella persona che tu ritieni talmente fastidiosa o inguardabile da ingegnarti e spendere per non farla stare lì, quella stessa persona andrà altrove, non scomparirà certo nel nulla.

In questi anni però si sono viste sorgere cancellate a chiudere spazi pubblici, panchine con spunzoni o braccioli volti a impedire la possibilità di sdraiarsi e altri fantasiosi rimedi volti a impedire la presenza di poveri in determinati spazi pubblici. E qui si apre un altro capitolo: se è la pubblica autorità a prendere queste decisioni, essendo consapevole che i poveri non si volatilizzano, vuol dire che ritiene che esistano posti alternativi in cui essi possano andare. Posti evidentemente più nascosti e isolati, dove è più difficile essere visti, aiutati, è più facile essere vulnerabili e indifesi, è possibile sentirsi male o morire senza che nessuno se ne accorga.

Tenendo conto che chiunque conosca anche superficialmente le persone che vivono in strada sa bene che si tratta di un microcosmo di “umanità fragile”, è semplice capire che l’ulteriore marginalizzazione e il “nascondimento” di queste persone non sia utile a nessuno: non a loro stessi, non a coloro che li vedono arrivare vicino alle proprie case, non alla pubblica sicurezza. Una persona ritenuta “strana”, fa molta meno paura in uno spazio pubblico che in un luogo più isolato. È come quando si sceglie di sgomberare persone (da immobili o baracche) senza una soluzione abitativa alternativa: le persone non scompaiono e si riversano altrove. Perché allora continuano queste politiche?

Sicuramente per un’errata e disumana idea di “decoro”: è ritenuto indecoroso che un uomo o una donna si mostrino laceri e in difficoltà ai nostri occhi, piuttosto che il fatto che si trovino in quella situazione drammatica: come se nasconderli agli occhi cancellasse la loro situazione o come se evitare il “fastidio” di guardarli risolvesse i problemi.

Poi perché probabilmente troppo poco si investe nella nostra società nel “sociale”: pensiero, risorse economiche, risorse umane. Dinanzi alle mille difficoltà delle persone fragili, si fugge la “fatica sociale” di provare a conoscere, a cercare soluzioni, ad accompagnare. Certo è lungo, spesso è difficile, talvolta è senza successo: ma è l’unica via umana e giusta per provare a porsi verso l’umanità dolente delle nostre città (nella speranza di non trovarci noi un giorno parte di quel popolo).

Solo nella pazienza del cercare la via per ognuno, si risolvono le situazioni: spostare “il problema”, o nascondere allo sguardo la debolezza altrui, ci rende più insensibili e non risolve nulla.

Fonte: https://www.huffingtonpost.it/entry/le-citta-e-lillusione-di-cancellare-i-poveri_it_5d930aa6e4b0019647ae087b?fbclid=IwAR2QBWz66i9eSZ3clb8BIygAx3RX4IG1btgMKS8nPz-XpgAyQeu8GG7fB_g