L’Italia perde perché non sa essere bipartisan nemmeno nell’urgenza
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7 Gennaio 2020
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di Mario Giro su HuffingtonPost
Le reazioni italiane alla crisi libica, e a quella ancor più grave dell’Iraq, sono inquinate dal solito atteggiamento provinciale o da bar. In un momento grave come questo, invece di unirci ci dividiamo per interessi di bottega. Si reagisce con l’occhio teso alle questioni interne, senza sapere quasi nulla né tentare di capire ciò a cui stiamo andando incontro.
Sull’Iraq dall’opposizione vengono solo dichiarazioni contro il governo “che non sa…, che non può…, che non fa…”, di critiche su una telefonata non arrivata(come fosse la prima volta, come non fosse già capitato a tutte le maggioranze…!), invece di contribuire seriamente a una crisi che rischia di incendiare il Mediterraneo per anni.
Lo devo dire: ha ragione Giorgia Meloni, non è questo il momento delle tifoserie. Ognuno esprima le proprie opinioni con responsabilità e senza futili polemiche interne che non aiutano. Una volta Forza Italia sapeva farlo… ora nemmeno più questo. Ma anche nella maggioranza c’è questa tentazione.
In situazioni come queste non importa chi sta al governo: tutti - dico tutti - dovremmo stringerci assieme per valutare il da farsi. Non si fa politica estera responsabile in momenti di rischio di guerra, con l’agenda delle elezioni amministrative o con sondaggi sotto gli occhi. Anche perché in queste situazioni non contano i sondaggi ma conta una vera responsabilità non emotiva, seria e pensosa su temi complessi.
Ciò vale anche per i commentatori dei giornali, quasi tutti concentrati ad attaccare il nostro ministro degli Esteri o il premier per ciò che dicono sulle due crisi, ben sapendo che nessuno sa cosa dire a caldo, nemmeno gli altri leader internazionali.
C’è stato un errore politico - l’ho scritto da tempo - sulla Libia: non essersi interessati a tempo della sua situazione politica e averla guardata solo con l’ossessione migratoria. È un errore commesso - pur con stili diversi - da destra e sinistra, da tutti. Ora ne paghiamo il conto e siamo quasi fuori da tutti i giochi. Con molta difficoltà occorre risalire la china. È possibile (la geografia ci aiuta in questo) ma duro: ognuno faccia la sua parte invece di continuare con il solito gioco italico rinascimentale di Pisa contro Firenze, contro Arezzo, contro Siena contro… Bisogna riparlare bene con tutti gli attori e trovare una linea. Nessuno ha la soluzione in tasca, nemmeno i turchi che prendono un rischio ma non sanno dove li porterà. Ci vuole una politica estera coraggiosa che sappia riprendere l’iniziativa.
Sull’Iraq ancora peggio: non siamo mai stati protagonisti in quell’area. Ma potremmo aiutare a limitare i danni. Nessuna tifoseria può servire: il rischio di un effetto a catena è fortissimo. La storia delle guerre in quella regione è annosa e articolata, le responsabilità condivise tra tutte le parti (quelle che si vedono e quelle che non si vedono). Bisogna mantenere lucidità e freddezza: ogni aumento dell’emotività è dannoso. Molte partite sono in gioco contemporaneamente e non tutto è come appare.
E infine: in situazioni gravi come questa, non tutto quello che deve fare una seria politica estera, finisce automaticamente sui media e può essere commentato come si trattasse di cronaca nera. Malgrado la moda della trasparenza, ci sono momenti gravi in cui la riservatezza e la confidenzialità sono essenziali (infatti sarebbe bene che maggioranza e opposizione si parlassero riservatamente sul da farsi). Quindi meno chiacchiere sui giornali e più comprensione dei fenomeni; meno polemicucce di casa nostra e più approfondimento.