Roma | I valori dell’Olimpiade nel carcere di Rebibbia, con i Giochi della Speranza


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18 Giugno 2025


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Difficile distinguere il detenuto dal magistrato, l’atleta delle fiamme azzurre dall’agente della polizia penitenziaria, il sacerdote dall’onorevole. Nella casa circondariale Rebibbia nuovo complesso, oggi, 13 giugno, a prevalere è stato lo spirito sportivo. Tutti atleti per la I edizione de “I Giochi della speranza” – vinti dalla squadra della polizia penitenziaria – promossa nell’ambito del Giubileo dello sport dalla Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, dal Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia) e dalla rete di magistrati “Sport e Legalità”.

La mattinata «è stata motivo di svago e di interazione con tante persone», ha detto Manuel, 40 anni, detenuto da due anni e altrettanti da scontare. La monotonia della vita carceraria, infatti, è stata rotta dal tifo per le partite di calcio e di pallavolo – spettatori anche alcuni detenuti dalle finestre delle loro celle -, dalla staffetta, dai tornei di scacchi, ping pong e calcio balilla. In quest’ultimo si è cimentato anche il presidente del Coni Giovanni Malagò, che ha definito l’iniziativa «strepitosa».

Le aree solitamente adibite al passeggio, allo svago o alle conferenze sono state per un giorno campi di gioco di una sorta di mini olimpiade che ha visto in campo anche esponenti della società civile la cui presenza, per Malagò, è importante perché «come in tutte le cose bisogna esserci, toccare con mano, guardare le realtà di cui stiamo parlando». Organizzare tornei multidisciplinari «è un’idea eccellente – ha aggiunto -. Da qui parte un messaggio che arriva molto lontano».

I Giochi sono stati patrocinati dai dicasteri pontifici per il Servizio dello sviluppo umano integrale e per la Cultura e l’educazione. Per il primo era in campo il capo ufficio don Chico Avelino, grato perché si è «creata armonia, coesione e fratellanza». Il nuovo capo del Dap Stefano Carmine De Michele ha visto che «lo sport livella ed è l’insegnamento migliore che si può trarre da questa iniziativa. Giocare insieme è motivo di integrazione». L’idea de “I Giochi della speranza”, ha spiegato Daniele Pasquini, presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, è nata durante le Olimpiadi di Parigi, spinti dal desiderio di «portare i valori olimpici dove si fa più fatica a entrare, come in carcere».

L’apertura della Porta Santa proprio a Rebibbia da parte di Papa Francesco il 26 dicembre scorso ha dato «una spinta all’iniziativa». Ora si pensa a dicembre, a quando si celebrerà il Giubileo delle carceri. «L’intenzione – sono ancora le parole di Pasquini -, è quella di replicare nella sezione femminile e poi di esportare la manifestazione in altre carceri italiane». Della stessa opinione Fabrizio Basei, coordinatore della rete di magistrati “Sport e Legalità”, per il quale «l’obiettivo è costruire un percorso con i detenuti. Lo sport è un mezzo di inclusione che trasmette valori di lealtà e rispetto delle regole».

Da qualche giorno ha assunto la direzione della casa circondariale Maria Donata Iannantuono, la quale reputa «fondamentale che il detenuto veda la sensibilità che viene dall’esterno. Lo aiuta a non sentirsi solo». Ha assicurato che farà «tutto il possibile per il recupero del condannato». Investire nelle infrastrutture sportive nelle carceri «ha un valore non solo economico ma anche sociale,» ha dichiarato Beniamino Quintieri, presidente del Credito sportivo. Nella squadra di pallavolo il deputato Paolo Ciani, che ha parlato dello sport come «strumento di integrazione anche in un luogo che fa parte della nostra città ma è spesso dimenticato». In porta, invece, il cappellano del Centro sportivo italiano don Bonifacio Lopez. «È importante testimoniare che siamo tutti fratelli – le sue parole -. Non siamo qui per giudicare ma per trascorrere la giornata con loro». Testimonial d’eccezione del gruppo sportivo Fiamme azzurre, il velocista italiano Lorenzo Benati, campione europeo under 18 dei 400 metri piani a Gyor 2018 e primatista italiano, sempre under 18, della specialità.

Da RomaSette