Veltroni, il Pd e la possibile coalizione
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29 Luglio 2019
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di Paolo Ciani
La recente intervista a Walter Veltroni su La Repubblica, fornisce interessanti spunti di riflessione sull’attuale situazione del Pd e del quadro politico dell’intera area culturale del centrosinistra.
Non entro nelle analisi riguardanti il Partito Democratico, sono invece interessato a proporre alcune riflessioni su ciò che c’è e potrà esserci oltre al Partito Democratico. Veltroni avanza idee per tornare a essere maggioranza e sfidare Salvini e sembra proporre il seguente paradigma: un Pd senza scissioni interne e un partito ambientalista alleato. Sostanzialmente riproponendo l’immagine di un Pd a vocazione maggioritaria che non solo non si divida in una sorta di nuovo Ds-Margherita, ma riesca a rappresentare (e ad includere) tutto ciò che esiste nel panorama del centrosinistra; ad eccezione di “forze che riescano a interpretare bisogni come l’ambientalismo”.
Premesso che concordo con la necessità di evitare scissioni nel Pd (e su questo mi sembra che Zingaretti si stia ben spendendo) e trovo abbastanza ridicolo ricorrere sempre a immagini di ciò che fu, per immaginare ciò che sarà (la conoscenza del passato deve aiutarci a costruite il futuro, più che a operazioni nostalgia fuori tempo...), mi sembra fuori dalla realtà l’idea che il Pd oggi possa rappresentare un partito che raccolga tutto ciò che può pensarsi di centrosinistra (a parte una nuova interpretazione dell’ambientalismo).
Innanzitutto basta guardare ai risultati elettorali dell’ultimo anno: da quel 4 marzo 2018 in cui il centrosinistra fu sconfitto ovunque tranne che nel Lazio, dove Zingaretti volle una “coalizione larga”, fino alle recenti elezioni europee e amministrative, il centrosinistra ha vinto lì dove ha accettato una coalizione plurale. Basta pensare al “caso Bartolo”, il medico di Lampedusa che a febbraio ha aderito a Demos e, candidato nella lista larga delle Europee, ha raccolto migliaia di voti di persone che sicuramente senza di lui non avrebbero votato Pd, risultando il primo dei votati nelle Isole e secondo nel collegio dell’Italia Centrale (con un successo straordinario a Roma che ha stupito molti “esperti” e “addetti ai lavori”).
Da nessuna parte e in nessuna occasione il Pd può considerarsi autosufficiente; e d’altro canto non è autosufficiente nemmeno la Lega al 35%, tanto che nelle regioni e città in cui ha vinto è sempre andata in coalizione con FdI e FI. Per questo dalle elezioni del Lazio abbiamo messo in campo la proposta di Democrazia Solidale - DEMOS, perché eravamo convinti che tanti nostri concittadini non si sentivano rappresentati dal Pd, pur non cedendo ai populismi di qualsiasi colore. E questa mancanza di “vocazione maggioritaria” da parte del Partito Democratico non crediamo si possa risolvere solo con una paventata alleanza con la “società civile”, che poi concretamente si traduce nel cooptare qualche nome di prestigio e con il moltiplicarsi di “liste civiche” per le elezioni amministrative. Serve qualcosa in più.
Noi, provenienti dalla “società civile”, abbiamo pensato di proporlo, convinti che nel quadro attuale di crisi politica e sociale (ma direi anche antropologica), dovessimo metterci in gioco in prima persona. Ma credo e spero che il Pd e gli osservatori attenti debbano riconoscere e dare dignità a interlocutori anche nuovi - uscendo da schemi e nomi triti - che possano contribuire a contrastare elettoralmente e culturalmente il pericoloso mix di populismo, nazionalismo, post verità in cui viviamo.
Nel nostro tempo delle riscoperte identitarie, esistono sensibilità, culture, percorsi personali, che non si ritrovano oggi nel Partito Democratico, ma possono ritrovarsi (e si stanno ritrovando) in altre proposte, come quella di Demos, votata, come ha detto qualcuno, “dai conventi di clausura, ai centri sociali”. Abbiamo idealità chiare, valori profondi, esperienze dirette: non siamo i “ragazzi” che si avventurano tra i “professionisti”. Basta vedere lo stato delle cose per avere forse un po’ più di coraggio e lungimiranza.
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